Si chiama Infodemia e viaggia veloce. Come un virus.
Secondo la definizione che ha ispirato l’OMS, l’infodemia è una sovrabbondanza di informazioni, alcune accurate e altre meno, che si diffonde in parallelo con una epidemia. Non si tratta di un fenomeno nuovo ma, nell’era digitale, la diffusione dell’infodemia avviene in tempo reale e crea un terreno propizio per l’incertezza. A livello di popolazione generale, l’incertezza alimenta lo scetticismo e la sfiducia, un ambiente perfetto per la diffusione di paure irrazionali, ansia, stigma, violenza e aggressività, nonché scarsa propensione a seguire le misure di salute pubblica. A livello di operatori della salute, l’infodemia aumenta la confusione in una situazione di incertezza intrinseca, rischiando di indurre il medico a fare scelte sbagliate, prescrivere farmaci non sufficientemente validati o supportare misure di salute pubblica di efficacia non dimostrata
“Per governare un’infodemia, esattamente come accade per l’epidemia virale, servono esperti che capiscano tutti i fattori che contribuiscono al suo mantenimento: tra questi c’è sicuramente l’eccesso di produzione di contenuti informativi ma anche la mancanza di mediatori che selezionino le fonti più affidabili sulla base di criteri verificati e la condivisione delle notizie direttamente sulle piattaforme di social media” ribadisce Kluge.
E proprio il ruolo dei social media sembra essere meno semplicistico di quanto si tende a immaginare. Lo ha scoperto il gruppo di ricerca dell’Università di Ca’ Foscari guidato da Walter Quattrociocchi, che ha appena pubblicato su Scientific Report uno studio sui flussi di informazioni riguardo a Covid-19 sulle piattaforme social durante il periodo più acuto della pandemia in Italia. La metodologia utilizzata non è dissimile da quella che si usa per ricostruire l’andamento di una epidemia, a riprova che le informazioni poco attendibili si propagano “per contagio”, esattamente come fa il virus.
“Tra i risultati più significativi è emerso, per esempio, che le fake news non viaggiano a maggiore velocità delle notizie provenienti da fonti attendibili” spiega Walter Quattrociocchi, smentendo un luogo comune che vuole il falso più potente del vero.I ricercatori di Ca’ Foscari hanno svolto un’analisi comparata dell’attività degli utenti su cinque piattaforme social (You Tube, Instagram, Twitter, Reddit e Gab), passando in rassegna oltre 8 milioni di commenti scritti da oltre 3 milioni e mezzo di utenti in 45 giorni (dal primo gennaio al 14 febbraio scorso). Sono riusciti così ad analizzare il crescente interesse per il tema Covid-19 e l’evoluzione delle conversazioni nel tempo per ciascuna piattaforma. Inoltre hanno valutato la diffusione delle informazioni sulla base dei modelli epidemici usati in medicina, scoprendo che alcuni “ambienti”, come per esempio il social media Gab, sono particolarmente suscettibili alla diffusione delle notizie false o negative, anche se, nel complesso, le informazioni provenienti da fonti attendibili e quelle da fonti non attendibili non hanno registrato differenze significative nei modelli di diffusione.
È chiaro quindi che per contrastare una infodemia le norme di ‘contenimento’ che utilizziamo per fermare i contagi non sono utili. Non servono barriere e filtri, ma strumenti di comprensione delle fonti e di inquadramento delle informazioni. In campo medico, per esempio, non basta riferirsi ai classici parametri qualitativi bibliometrici (studi pubblicati da riviste ad alto IF, trial randomizzati eccetera) perché il problema sta nella quantità dei dati, oltre che nella qualità degli stessi e nella disponibilità di strumenti di analisi che calino l’eventuale studio nella realtà in cui operano le fonti scientifiche.