Che cos'è il virus Chapare: in Bolivia solo 5 casi ma letali

Due focolai a distanza di 16 anni l'uno dall'altro, sintomatologia simile all'Ebola e purtroppo ancora nessun farmaco in grado di fermare questa strana malattia provocata dai ratti pigmei del riso

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18 Novembre 2020 - 17.13


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Per il momento non c’è da allarmarsi. Però è bene sapere che in Bolivia circola una misteriosa malattia infettiva provocata da un virus mortale. Sono stati segnalati solo due focolai. Il primo è stato registrato nel 2003 nella provincia di Chapare ed ha provocato una vittima. A 16 anni di distanza dal primo caso, nel 2019, un nuovo focolaio è stato scoperto a La Paz, sempre in Bolivia, con cinque contagiati e tre vittime accertate. Secondo gli scienziati, due pazienti avrebbero trasmesso il virus a tre operatori sanitari. A darne notizia l’American Society of Tropical Medicine and Hygiene (ASTMH).

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I ricercatori dei Cdc statunitensi (Centers for diseas, control and prevention) avrebbero trovato la prova che il virus Chapare può essere trasmesso da uomo a uomo.
Due medici e un gastroenterologo “hanno contratto il virus dopo aver avuto contatti con pazienti infetti”, ha detto Caitlin Cossaboom, epidemiologa della divisione di patogeni e patologie ad alto rischio del Cdc.  Gli studiosi  spiegano che il virus Chapare così come altri arenavirus sono tipicamente trasmessi “attraverso il contatto diretto o indiretto con la saliva, l’urina o gli escrementi di roditori infetti”, ma aggiungono che anche “una persona infetta può diffondere la malattia ad altre persone attraverso il contatto con i fluidi corporei del paziente”.

Di questo virus comunque si sa pochissimo: troppo pochi i casi registrati per avere informazioni più specifiche e soprattutto attendibili. I ricercatori non hanno escluso che il virus possa essere circolato per anni senza essere rilevato perché confuso con la dengue , un virus che provoca sintomi simili. Dobbiamo preoccuparci? Il Guardian sottolinea che in generale i virus che si trasmettono tramite fluidi sono molto più facili da contenere rispetto ai virus respiratori come il nuovo coronavirus SARS-COV-2. Insomma, nonostante la notizia della trasmissibilità da uomo a uomo non sia certo positiva, non è il caso di farsi prendere dal panico. Ad ogni modo i sanitari sono già al lavoro per prevenire lo scoppio di eventuali nuovi focolai.

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Tra i sintomi scoperti tra i pazienti rimasti infetti nel 2019 c’erano febbre, vomito, dolore addominale, sangue alle gengive, eruzioni cutanee e dolori nella parte posteriore degli occhi. Attualmente non esiste alcun trattamento specifico.
I ricercatori hanno trovato prove della presenza di questo virus in alcuni roditori prelevati da alcuni campi coltivati dal primo paziente identificato con il virus nel 2019, un contadino che poi è morto. Si tratta di ratti pigmei del riso e ratti pigmei del riso dalle orecchie piccole, piccoli roditori molto simili a topi appartenenti al genere Oligoryzomys.

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