Uno degli aspetti più inquietanti della seconda ondata dell’epidemia di Coronavirus è stato il radicale cambio di atteggiamento nei confronti dei medici, passati da eroi a capri espiatori della rabbia e dell’odio sociale nel giro di pochi mesi. I legali di Consulcesi & Partners hanno denunciato di aver ricevuto “numerosissime segnalazioni di medici e operatori sanitari vittime di attacchi sui social, con un’impennata del fenomeno dopo l’estate: oltre un medico su 4 confessa di essere stato vittima di almeno un’aggressione sul web. E con l’inizio della vaccinazione anti-Covid la situazione sembra essere ancora peggiorata”.
Il fenomeno – riferisce una nota – non è solo italiano: un recente studio pubblicato sul ‘Journal of American Medical Association Internal Medicine’ ha evidenziato che negli Stati Uniti l’intensità delle molestie online si è intensificata già dalla scorsa primavera, raggiungendo il picco nel periodo in cui ai medici è stato chiesto di sostenere le campagne di vaccinazione. Secondo i ricercatori americani, la popolazione è stata sempre più polarizzata verso una leadership che svaluta la scienza. Le donne in camice, sia in Italia che negli Usa, sono le principali vittime. “Le operatrici sanitarie – riferisce C&P – sono quelle che subiscono più attacchi e che rischiano di pagarne il prezzo più alto, sia in termini di stress che di carriera”.
Ma quando l’offesa diventa reato? La giurisprudenza inizia a pronunciarsi sui reati più diffusi sui social. Un esempio il body shaming, cioè l’atto di offendere qualcuno riguardo il suo aspetto fisico. Questa condotta, certamente non nuova, è di recente balzata all’attualità soprattutto per la campagna di vaccinazione del ministero della Salute che ha coinvolto molti testimonial medici e infermieri sugli strumenti digitali (soprattutto, Instagram e Facebook) sempre più utilizzati che, di fatto, hanno consentito il dilagare di questo fenomeno.
Queste condotte possono degenerare in ipotesi di reato riconducibili alla diffamazione e allo stalking che, se perseguite dall’offeso, possono provocare conseguenze davvero importanti per l’offensore. I legali ricordano inoltre che la diffamazione, di cui all’art.595 del codice penale, prevede che “comunicando con più persone, offende l’altrui reputazione. Nel caso in cui l’offesa venga fatta circolare mediante l’utilizzo dei social, la sua diffusione indiscriminata può intendersi ‘in re ipsa’, venendo a configurare, al comma 3, il reato di diffamazione aggravata per la maggiore capacità di raggiungere facilmente una pluralità di destinatari. In questo caso, la pena potrebbe raggiungere la reclusione da 6 mesi a 3 anni, ovvero la multa non inferiore a 516 euro.
In ogni caso – ricorda ancora C&P – questi reati vengono perseguiti a querela della parte offesa, con conseguente possibilità, una volta aperto il giudizio penale, di costituirsi parte civile per richiedere il risarcimento dei danni e di richiedere, in certi casi, il sequestro preventivo della pagina telematica dove è pubblicato il commento offensivo. Diversamente, e quindi anche se fosse spirato il termine per la querela, è sempre possibile per l’offeso introdurre un giudizio civile, invocando l’inibitoria dalla pubblicazione del testo offensivo, per ottenere il ristoro dei danni patrimoniali e non eventualmente sofferti.
Consulcesi & Partners si fa quindi portavoce di un appello alle istituzioni: “A causa della pandemia, i nostri operatori sanitari sono costretti ad affrontare ogni giorno sfide sempre più importanti, fonte di grande stress, e problematiche lavorative sempre più difficili, talvolta, prive di adeguate tutele. È necessario che le istituzioni si mettano dalla loro parte e reagiscano in maniera decisa, condannando ogni comportamento minaccioso denigratorio. L’obiettivo non è solo quello di tutelare un professionista nello svolgimento della sua attività, ma anche di evitare che il disagio proveniente da queste aggressioni influisca negativamente sul loro lavoro, danneggiando la loro integrità psicofisica e la loro riconosciuta professionalità, oggi più importanti che mai. Non lasciamo soli i nostri medici a combattere contro il web, insieme possiamo essere più forti”, concludono.
Un medico su quattro è stato minacciato sui social da hater e no-vax
Le donne in camice, sia in Italia che negli Usa, sono le principali vittime. "Le operatrici sanitarie - riferisce C&P - sono quelle che subiscono più attacchi e che rischiano di pagarne il prezzo più alto
globalist Modifica articolo
13 Gennaio 2021 - 15.48
ATF
Native
Articoli correlati