Sostenere chi aiuta: il ruolo troppo dimenticato del caregiver nella cura

Una riflessione dell'Airc, la Fondazione per la ricerca sul cancro, sul ruolo del caregiver in oncologia. Familiari che si fanno carico, spesso in solitudine, dei propri cari. E rischiano la salute

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14 Agosto 2020 - 11.21


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Questo articolo è stato pubblicato sul sito dell’Airc, la Fondazione per la ricerca sul cancro. E’ una riflessione molto interessante e spesso sottaciuta. 

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Ve ne proponiamo un frammento.

“In ogni famiglia di un malato oncologico c’è una persona che si fa carico più di altri della cura: è il cosiddetto caregiver primario, che spesso paga questo ruolo in termini sia economici sia di salute.

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La lista dei compiti di chi assiste un malato oncologico è molto lunga: dalla cura quotidiana della persona ai trasporti, dalle faccende domestiche alla comunicazione con amici e parenti, dalla gestione delle terapie al supporto emotivo.

Secondo un’indagine condotta tra i caregiver dell’American Cancer Society e intitolata Study of Cancer Survivors, tutto ciò richiede un impegno che, nei primi due anni dalla diagnosi, occupa in media 8,3 ore al giorno per un totale di 13 mesi su 24 (con picchi di oltre 10 ore per alcuni tumori come i linfomi non Hodgkin). Un impegno, in alri termini, che può significare la necessità di rinunciare alla propria vita e al lavoro, almeno per un certo periodo di tempo, e che per molti assorbe ogni energia fisica e mentale.

La prima conseguenza di un impegno che, anche quando è portato avanti con amore, rimane sempre gravoso, è la ricaduta sulla psiche, perché chi si prende cura di un malato cerca sempre di sostenerlo anche a livello psicologico, di infondere speranza e ottimismo, di distrarlo e di fargli mantenere un buon livello di relazioni sociali, quasi sempre mascherando la propria preoccupazione per il futuro, lo stress, la depressione. E tutto ciò si traduce in perdita di sonno e di appetito, a volte di motivazione in generale, comparsa di depressione e ansia, spesso gravi e riconoscibili clinicamente.

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L’impatto della scoperta di un tumore in una persona cara non è solo psicologico: anche il fisico ne risente, come hanno mostrato molti studi, che hanno fatto emergere un legame stretto tra il cancro di un familiare e il peggioramento generale della salute di chi se ne fa carico, soprattutto quando il caregiver è una persona anziana, che magari ha già una o più malattie da tenere sotto controllo.

Eppure, per costoro si fa molto poco: secondo uno studio americano, più dell’80% non riceve alcun tipo di aiuto diretto o indicazione utile. Anche se le informazioni allevierebbero la fatica, come conferma uno studio italiano, pubblicato su Tumori nel 2015 e condotto dal gruppo di Stefano Cascinu, oggi dirigente della Clinica di oncologia medica del Policlinico di Modena, su 137 parenti di pazienti: la prima necessità che emerge è avere maggiori informazioni sulle cure e sulla malattia del congiunto e avere contatti più facili e frequenti con i medici curanti; un dato che potrebbe sembrare sorprendente, ai tempi di internet, ma che mette anch’esso in luce la necessità di non essere lasciati da soli.

Molto spesso (secondo alcuni studi in più del 50% dei casi), tutto il sistema di vita dei caregiver viene modificato: le relazioni affettive, le abitudini, le vacanze, l’uso del tempo libero sono spesso azzerati o molto ridimensionati.

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In molte realtà anche italiane esistono sistemi di supporto anche per i caregiver ma le ricerche fatte portano quasi tutte allo stesso risultato: anche quando esistono sono quasi sempre usati poco e male. Per questo c’è ampio spazio di miglioramento, ed è evidente che in parte l’assistenza va ripensata, includendo nei programmi anche l’aiuto a queste figure fondamentali”.

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